"Tuttavia non credo che questo orribile silenzio della nostra epoca durerà a lungo, sebbene ritenga che al momento aumenterà. Che farsa la moderna larghezza di vedute! Nella moderna civiltà, libertà di parola significa in pratica che si può parlare solo di cose senza importanza. Non dobbiamo parlare di religione, perché è illiberale; non dobbiamo parlare di pane e formaggio, perché vuol dire parlare di negozi; non dobbiamo parlare della morte, perché è deprimente; non dobbiamo parlare della nascita, perché è indelicato. Non può durare. Qualcosa sopravvenga a infrangere questa strana indifferenza, questo strano egoismo sognante, questa strana solitudine di una folla di milioni di persone. Qualcosa deve interrompere tutto ciò. Perché non voi ed io?" Il Napoleone di Notting Hill di G.K.Chesterton

mercoledì 2 ottobre 2013

Il Patto di Stabilità Interno: l'oscuro burattinaio

Torniamo ad occuparci di finanza locale e della presenza di un burattinaio che nell'ombra muove i fili delle amministrazioni locali (leggi la versione ridotta)
Come già annunciato nello scorso articolo abbiamo superato la parte più noiosa della trattazione ed ora ci attendono tempi decisamente migliori. Se da una parte è abbastanza chiaro a tutti dove lo Stato prenda i suoi fondi (dai cittadini, con sistemi d’imposizione più o meno sofisticati), molto più oscuro è capire come e dove questi soldi vengano poi spesi. Qui si apre una discussione abbastanza interessante sui compiti dello Stato (o in generale dell’Amministrazione Pubblica). Uno dei padri del pensiero economico A.Smith (nel 1776) sosteneva che lo Stato doveva occuparsi di 3 funzioni principali: sicurezza interna (polizia) ed esterna (esercito), amministrazione della Giustizia e tutte quelle opere e quelle istituzioni pubbliche che l’iniziativa dei privati da sola non riesca a realizzare. A questi compiti “minimali”, nel corso degli ultimi due secoli, se ne sono aggiunti molti altri: istruzione, sanità, assistenza e previdenza sociale, tutela ambientale, promozione e sviluppo economico… va da sé che maggiori sono i compiti che vengono affidati allo Stato, quindi maggiore è il suo intervento, maggiori saranno anche le spese e conseguentemente il prelievo fiscale.
Un altro concetto basilare che credo di dover segnalare (e tornerà utile più avanti) è una distinzione più di taglio “aziendale” tra spese di struttura e spese politiche, questo riguarda trasversalmente le categorie elencate la scorsa volta.
Le prime sono quelle spese in gran parte fisse o semifisse che derivano dall’assetto che viene dato, in questo caso, alla macchina pubblica. Esse non si modificano in fretta o facilmente. Le seconde derivano invece da scelte precise fatte da un’amministrazione e riguardano appunto la politica, quindi la gestione effettiva in un orizzonte di tempo medio. Facciamo qualche esempio per chiarire. Una spesa di struttura è data dal personale , una volta assunti io devo pagare i miei dipendenti, anche nel caso non lavorino. Oppure il riscaldamento, è vero che qui  potrei regolare la temperatura o usare altri piccoli accorgimenti, è anche vero però che se io ho un certo numero di stanze da scaldare ed un certa efficienza dell’impianto, a meno di interventi radicali di ristrutturazione o scelte di lasciare al freddo alcune stanze, la mia spesa sarà abbastanza fissa. Diversamente le spese politiche dipendono da tutte le scelte che noi compiamo: la formazione (lo studio ad esempio), il fare o meno una campagna di prevenzione o incentivo, il favorire la cultura, l’istruzione, lo sport, l’assistenza o il contributo dato alle nostre associazioni.
Si segnala che nella realtà la divisione non è così netta ed esistono voci di spesa con una base di struttura ed una parte poi “politica”.
Torniamo ad occuparci di finanza pubblica. Come avevo promesso ci attendono tempi migliori dopo le noiose distinzioni della scorsa volta. Chiedo però ancora un attimo di pazienza per presentare un’ultima classificazione, utile per completare il quadro di riferimento generale (ci servirà più avanti). Si tratta di quella tra spese di struttura e spese politiche. Le prime riguardano quelle spese che servono per far funzionare la macchina pubblica (personale, impianti, illuminazione), sono più rigide e richiedono tempi maggiori per essere modificate. Le spese politiche derivano invece da scelte precise di carattere appunto “politico”, sono più variabili e possono essere ampliate o ridotte rapidamente. Esse sono ad esempio: fondi per assistenza, scuola, cultura, sport... La distinzione tra le due categorie può non essere sempre netta e precisa.
Veniamo ora a svelare la presenza sulla scena della finanza locale di un oscuro burattinaio sconosciuto ai più, ma che nel segreto manovra e gestisce il destino delle amministrazioni locali. Si tratta del PSI (Patto di Stabilità Interno) di derivazione europea. In sede europea l’Italia (come molti altri Stati) si è assunta l’impegno di ridurre il suo debito pubblico (per ragioni economiche, monetarie e forse strategiche). Per moltissimi anni il nostro paese ha infatti speso più di quello che incassava con le imposte (anche per la spesa corrente!) finanziandosi tramite l’emissione di debito pubblico (Titoli di Stato). Seppur avallata da molti teorici questa insana pratica (soprattutto perché smodata) non si curava di due realtà basilari: in primo luogo, che prima o poi i debiti vanno pagati. In secondo luogo nessuno si è mai curato di indagare chi ci prestasse questi soldi e a quali condizioni. La recente crisi dei debiti nazionali europei (dire sovrani è improprio) deriva da una questione semplicissima, ossia la paura che il nostro paese non fosse in grado di rimborsare i propri debiti. Questo ha spinto i nostri finanziatori o a non prestarci più i soldi o a farlo ad interessi più alti.
L’operazione di riduzione del debito si può articolare sostanzialmente nel dover risparmiare, cioè nell’accumulare risorse per ripagare i debiti. Lo Stato lo fa da una parte aumentando le sue entrate (imposte) e dall’altro riducendo le sue spese (tagliando i servizi). Questo genera  un “avanzo” da impiegare per ripagare il debito. Negli ultimi anni è accaduto appunto questo, si sono aumentate le imposte e in cambio non sono arrivati nuovi servizi (come sarebbe auspicabile), anzi si è assistito spesso ad un taglio di questi ultimi. (la situazione dell’Italia è poi complicata dalla mancata crescita del PIL da 10 anni a questa parte)
Un dettaglio non da poco è che in un periodo di crisi le entrate dello Stato già si riducono automaticamente (è un fenomeno noto come “stabilizzatori automatici” del bilancio pubblico). Le imposte essendo calcolate progressivamente sul reddito, si riducono in rapporto alla diminuzione dello stesso. (aliquota fiscale del 20%, io guardano 1000 pago 200, guadagno 800 pago 160). A livello aggregato se molte persone perdono il lavoro, non pagano più le tasse che pagavano in precedenza. Vi è poi da segnalare il curioso caso dell’Italia, ossia il fatto che da 10 anni a questa parte il nostro PIL non cresce. Non si vuole aprire qui una trattazione che potrebbe essere lunghissima. Basti dire che è un cattivo segnale che complica le cose. Immaginate di dover pagare ogni mese 250 € con uno stipendio di 800 €, fareste fatica, ma se ogni mese il vostro reddito aumentasse, 810, 820, 830… un bell’aiuto, basta ribaltare questo ragionamento sul PIL che è il “reddito” della nazione e capirete perché la sua mancata crescita è assai preoccupante.
In tutto questo arriva il famoso PSI. Semplificando parecchio agli Enti locali sono stati imposti alcuni vincoli sulla spesa e un obiettivo: un certo quantitativo di cassa a fine anno. Questa cassa andrà impiegata per ripagare i debiti. Detto così sembra facile, ma ciò ha alcune conseguenze molto interessanti.
Innanzitutto per avere della cassa a fine anno le spese devono essere inferiori alle entrate. Significa che a fronte di un certo quantitativo di imposte il cittadino si vedrà restituire in servizi una cifra minore (!). bisogna ammettere che da una parte il PSI ha avuto il merito di mettere un po’ di rigore in una finanza pubblica sregolata. È poi legittimo che lo Stato, essendo formato da più organi o membra (come il corpo umano) chieda il contributo di tutti per il raggiungimento dei suoi obiettivi (specie in periodi di “guerra finanziaria”). Il problema è stato l’applicazione pratica di questo strumento. Per cui ogni anno agli Enti Locali da un lato è chiesto di risparmiare sempre di più e dall’altro lo Stato riduce sempre di più i trasferimenti per rispettare il Patto di Stabilità a livello europeo (l’effetto è qui doppio, io ti chiedo di risparmiare di più con uno stipendio minore). Inoltre per quanto sia opportuno ridurre il debito, in molti casi gli Enti locali hanno un debito sostenibile, ossia che si riesce a pagare senza eccessivi problemi. Da qui la denuncia di molti amministratori locali che hanno le casse piene, ma non possono spendere questi soldi per rispondere alle sempre maggiori richieste di aiuto delle persone, specie in ambito sociale.
Altra singolarità di questo strumento è che le sue regole e i suoi parametri cambiano in continuazione. A volte sembra quasi che a chi risparmia di più, l’anno seguente si chiede di risparmiare ancora di più (un giorno arriveremo a 0?). Per chi poi “sfora” il patto ci sono varie sanzioni, la più blanda è un taglio dello stipendio degli amministratori, le più gravi riguardano il taglio ulteriore dei trasferimenti e altri divieti. Conseguenze insomma assolutamente non secondarie per chi volesse fare il furbo.
Da ultimo si segnala che le spese che possono essere “compresse” nel tentativo di risparmiare sono, purtroppo, le spese politiche e non quelle di struttura. Per toccare le seconde ci vorrebbe (oltre che gli strumenti che lo Stato non dà) molto più tempo. Assistiamo dunque al taglio di spese quali assistenza, istruzioni, cultura, sport… Insomma le più necessarie durante una crisi e che andrebbero espanse in effetto anticiclico. (ossia per contrastare gli effetti della crisi) Ad avviso di chi scrive le varie misure di austerità (un po’ teorica in Italia più che pratica) in questo frangente non aiuta a migliorare la situazione, hanno anzi un effetto pro ciclico rispetto alla crisi economica. Ossia le misure di austerità non aiutano ad uscire dalla crisi anzi la peggiorano.
Tiriamo ora le conclusioni di questo lungo ragionamento. Seppur teoricamente il PSI, anche in ottica di coordinamento, sia un ottimo strumento la sua applicazione si è rivelata quasi vessatoria degli Enti Locali. Di fatto, riducendo di molto la capacità di spesa e lo spazio di manovra, essi hanno le mani legate contro la crisi e si sono visti quasi azzerare la tanto paventata “autonomia” o “federalismo” proclamato anche dalla riforme costituzionali del 2001. Infine inizia a sorgere la domanda su quale sia il ruolo della politica locale, un mero esercizio ragionieristico di quadratura dei conti oppure una gestione di prossimità della cosa pubblica orientata alla promozione del bene comune?
Mauro Andreoli, Consigliere Delegato alla Spending Review

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